I dolci anni

Quotidianamente vivo e forse viviamo in un presente che sembra essere proiettato nel futuro: la velocità dei mezzi di comunicazione, quel senso dell’inevitabile, l’incapacità di molti giovani di riassumere il proprio passato, la mancanza di un racconto delle origini.

Eppure…..

La nostalgia imperversa sui commenti social, la post-modernità del frammento di questo ultimo secolo, ci ha reso inguaribilmente nostalgici.

E allora, più di un tempo, non ci stanchiamo di rivivere attraverso le immagini di un video o le note di una canzone i nostri dolci anni, quasi come una consolazione disperata. Consolazione, rifugio da un presente che sembra non appartenerci più.

Sembra, in effetti, tutto inevitabile.

Ciascuno ha o ha avuto i suoi dolci anni, la sua dolce vita, quel periodo che sembra sembra essere stato magicamente piacevole anche con i guai.

O che al limite non ammette guai o dispiaceri.

La mia dolce vita è quella degli anni Ottanta, ma ciascuno ha la sua, per mio padre o mia madre erano gli anni Sessanta.

 

Al di là delle differenze storiche, perché parliamo di dolci anni? E’ forse la nostra età che colora in modo diverso una certa epoca?

Io non ritengo fallimentare pensare al passato, perché per me i miei dolci anni sono la gioia, però sicuramente penso che le condizioni di vita di ognuno di noi hanno fatto questa sostanziale differenza.

La sofferenza non è un’eventualità degli anni Ottanta, non è un orizzonte di pensiero. Eppure nella mia infanzia penso di avere sofferto, come tanti.

Certo è che in Italia gli anni Ottanta hanno rappresentato il riscatto economico, dopo il periodo buio degli anni di piombo.

Certo è che sono riuscito a conoscere personaggi televisivi o cinematografici che erano ancora considerati artisti.

I dolci anni sono anche relativi, nulla è in senso assoluto.

Per me la gioia è stata la musica e la televisione in una Milano grigia, ma al tempo stesso provinciale, a misura d’uomo. Una Milano meno geometrica, meno asettica, più dialettale, meno americana. Fino al 1982-83 si poteva ancora respirare questo clima, la Milano di Tognoli a misura d’uomo.

Forse la dolcezza è anche l’imperfezione. La dolcezza non è rigore, la dolcezza è la simpatia delle persone, dei personaggi, una simpatia assoluta e generalizzata che non ho più (mai più) ritrovato tra i miei simili.

Non riesco a immaginare che ci siano state persone eccessivamente antipatiche o eccessivamente idiote negli anni Settanta e Ottanta, mi rendo conto del problema… 

Per me gli anni Novanta hanno rappresentato l’antipatia, l’ostilità, il concetto di crisi, accorgersi che quel grumo persistente e solido di benessere, di stabilità, di arte, di certezza, se ne stava andando…..sempre di più, fino ad oggi.

Da un certo momento in poi bisogna combattere, con se stessi, con gli altri, con i problemi, con notizie di cronaca, che, inspiegabilmente diventano insopportabili.

E quando si raggiunge poi l’idea di “inevitabile”, “ineluttabile”, il passato diventa non più una vetrina in cui specchiarsi ogni tanto, per ricevere qualche bel riflesso, diventa un luogo chiuso, una cantina nella quale ci si può riparare, di fronte a qualcosa che non ci appartiene più.

La durezza del presente, della vita adulta, invecchiata, si fa accettazione, forse anche serenità. Ma non è più dolce, non ha più cuore. E’ un mondo diverso, una fase diversa, da ricostruire. Esigenze diverse, prospettive diverse, modi di vedere la realtà diverse

Il mondo del lavoro è forse l’incubo essenziale che toglie poesia alla vita, che toglie quella dolcezza assoluta.

Rimangono la sessualità, l’amore, fin quando non diventano anch’essi una forma di ossessione o di delusione.

Che cosa sono i dolci anni? Un pianeta proibito dell’infanzia o la storia nel suo esserci stato?

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