Le colonie estive: me le ha raccontate Stefi

Secondo post dedicato all’estate. Stanotte, mentre faticavo a riprendere sonno dopo essermi svegliato, mi è venuto in mente uno dei tanti simboli estivi per bambini e adolescenti di decenni e decenni fa: le colonie estive.

Di cosa parliamo quando ci riferiamo alle colonie?

Spero di non doverti precisare ovviamente che non stiamo parlando di territori assoggettati da Paesi più forti,  come le colonie romane o inglesi, ma di semplici strutture organizzate per minorenni a scopo educativo e di intrattenimento, già nate nel 1822 in Toscana.

Colonie estive o centri estivi?

Oggi si preferisce parlare di centri estivi e l’organizzazione della vita comunitaria è molto più liberale e leggera. L’abitudine di massa a mandare i ragazzini in colonia durante l’estate si esaurisce suppergiù negli anni Novanta, ma per un periodo questa era un’eventualità molto concreta che poteva affacciarsi nella vita di chi aveva un’età compresa tra i 6 e i 17 anni…e non sempre per qualcuno poteva essere una prospettiva felice.

Perché le colonie non erano isole felici? Cerchiamo di capire perché……

Io non sono mai stato in colonia, ma perché te ne parlo? Perché sono rimasto molto colpito da una narrazione di infanzia della vita di colonia, praticamente sono stato in colonia virtualmente, nella mia cameretta. Ma per me questo è già stato sufficiente per capire. Ti stupirai, ne riderai…ok, .non importa…proseguiamo

Nell’estate del 1980 uscì un numero del Corriere dei Piccoli che conteneva la striscia mensile a fumetti della Stefi, quel personaggio creato da Grazia Nidasio.

“Il diario di Stefi”,si chiamava la rubrica. Ogni volta la protagonista, questa ragazza un po’ buffa e a mio avviso anche bruttina (un vero e proprio rospo, dicevo) raccontava qualcosa di sé, con la dovuta ironia. Quel numero parlava appunto della sua esperienza in colonia.

Io avevo quasi cinque anni, non sapevo ancora leggere e a quei tempi spesso era mia nonna che mi leggeva favole o fumetti.

Era quasi più un divertimento ascoltare la voce di mia nonna, una signora milanese doc, che pronunciava certe frasi, che non rendermi conto della storia narrata.

Comunque, con mia nonna riscoprii la tradizione orale del racconto….ed era talmente pregnante tutto ciò che ancora oggi quella storia della colonia la ricordo ancora nei dettagli. Io ho perso il numero del “corrierino” (così lo si chiamava), ma alcuni passi me li ricordo distintamente. Lo posso giurare.

Stefi in colonia

“Adesso vi racconto la vitaccia”, così iniziava il racconto la Stefi.

La colonia sembrava a tutti gli effetti una caserma o un collegio, bisognava fare la fila in bagno.

Per colazione “pane, latte o tè con poco zucchero”

“L’hai preso tu il mio pane?” “NO”.

Poi si andava alla spiaggia. Il mare era a due passi, ma non ci si può andare, bisognava aspettare la Truci (definita una “sorvegliante maestra”) che urlava “Bagnooooo!”

La Truci era una donna che mi conturbava, con quella bocca lunga, una voragine nera. “Bagnooo”, recitava mia nonna.

Passava poco tempo, arrivava il momento in cui ci si divertiva di più e la Truci poi diceva: “Fuori dell’acqua”.

Il pomeriggio si andava in spiaggia vestiti, il bagno non si faceva più. Oppure si stava con gli educatori in cortile a giocare.

Ho sempre odiato l’idea degli educatori, ce n’era uno spocchioso con baffi e barba, un radical-chic anni Settanta, lui chiamava il gioco al nascondino “al clandestino”.

Più nonna andava avanti nella narrazione e più godevo a stare con lei.  Avevo un istinto all’ insubordinazione già da piccolo, detestavo sottostare alle regole di un gruppo, ero già stato all’asilo e mi era bastato. Ai miei tempi se non andavi all’asilo non era uno scandalo, non aveva la funzione educativa che ha oggi, era più un parcheggio d’ infanzia che destava diffidenza anche nei genitori stessi, che non sempre volevano lasciare i loro figli là.

Io ero uno di quei bambini che qualche mamma avrebbe messo volentieri sotto una doccia fredda, poi spedito in montagna a fare camminate, sveglia alle sei del mattino.

Io godevo…godevo…a non essere così.

Godevo a non trovarmi nelle camerate come Stefi dove si accendono “le lucine blu”, si va a letto presto e…”allora mi viene in mente la mamma”. Quelle camerate mi facevano venire in mente l’ospedale.

Ma per fortuna c’era una tipa, la Pedotti Liliana, che offre una cicca a Stefi (cioè un chewingum), e le insegna il linguaggio in F.

E la Truci? “La Truci non c’è, è andata a ballare”.

Quando arrivavo a questo punto mi immaginavo sempre questa Truci circondata da maschi che se la spassava. Una vita separata e alienata, una vita taciuta e invisibile.

Mentre qualcuno stava in silenzio nelle camerate, qualcun altro ero immerso nel chiasso delle discoteche.

Ma l’esser-via, era tutto sommato qualcosa di rassicurante. Non era soltanto la vita della Truci a essere lontana da quella dei ragazzini, ma era anche la balera.

“Cofome vafa?” Befenefe e tufu?” (come va, bene e tu?)

Questo linguaggio in F della Pedotti Liliana era alquanto divertente, e lo era ancora di più quando mia nonna si inceppava. Be-fe..ne…fe! Befenefe!

Nonna tartagliava sempre quando si arrivava al linguaggio in F.

Quando si ritorna delle colonie estive

L’ultima difficoltà, quella della notte, e poi via via la luce del sole…..

Si avvicina il giorno della partenza e Stefi è gongolante, impaziente di ritornare a casa.

Il ritorno di Stefi è come il mio ritorno in settembre, un po’ velato di nostalgia, con il fisico rifiorito, abbronzato, la mente arricchita.

La cosa infatti che mi ricordo più piacevolmente di quella storia è proprio la fine, il ritrovare gli amici, il signor Michele, l’ortolano (“sa che ho imparato a stare a galla?”), l’idea della vacanza che trasforma, il termine dell’estate e un punto di approdo verso l’orizzonte futuro.

Settembre è sempre stato il mese della ripartenza…inizia il nuovo anno scolastico, ma inizia un po’ tutto…E noi dobbiamo essere pronti.

Ma dopo questo racconto immaginario, voglio lasciarvi alcune testimonianze vere della colonia. Qui. Con la conclusione che io non ci sarei andato mai e non manderei mai i miei figli.

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