Si è da poco conclusa la trentratreesima edizione del Salone internazionale di Torino, al quale ha partecipato la casa editrice del mio ultimo libro, la Pathos Edizioni.
Io ero presente nella giornata di giovedì 14 allo stand e ho avuto occasione anche di girare per questa fiera enorme e famosa, ricca di gente, rigonfia di voglia di tornare a mischiarsi nella folla, libera.
Dopo lo stop nazionale dei congressi e delle fiere, il Salone ha potuto essere recuperato dopo l’assenza di maggio.
Io non amo particolarmente la folla, ma ritornare a vedere persone che spendono una giornata del loro tempo (lavorativo) per passeggiare in mezzo ai libri non può che fare piacere.
Nonostante la crisi economica, sono sorte moltissime case editrici nuove negli ultimi anni, tutte probabilmente disposte ad accogliere e ricevere papiri e papiri di gente per lo più sconosciuta, colpita dal sacro fuoco dell’arte della scrittura.
Non importa cosa, l’importante è scrivere. Accanto a questa atroce ignoranza e banalità che permea la politica, lo spettacolo, noto sempre di più persone che vogliono esprimersi, vogliono gettare un sassolino nell’indistinto oceano della massa indifferenziata, pervasa e distratta da mille altre occupazioni.
Scrivere è un impegno che non può essere differito o relegato a pochi minuti al giorno, chi crede di poterlo fare, penso sia fuori strada.
Al contrario leggere pare si possa fare ovunque, sui treni, nei ritagli di tempo. Questo XXI secolo così veloce, lo deve essere anche nella lettura.
A mio avviso, al di là di quello che dicono le statistiche, che danno risultati assai deludenti ma non del tutto catastrofici, oggi in Italia, a ritmi di 200 libri pubblicati al giorno, pare che la gente scriva molto di più di quanto legga.
Ma com’è questo fatto? Scrivere è più facile che leggere?
Scrivere forse è una questione egocentrica, leggere vuol dire dedicarsi agli altri. Leggere è difficile, se uno non sa divorare i libri. La solitudine egocentrica , d’altro canto, brama attenzione, fama, importanza, è vero.
Ma come si può conciliare questa bramosia di protagonismo, di comunicare veloce, con la difficoltà di essere letti?
Oggi anche la lettura è raccolta dentro le immagini. Bisogna vedere, immaginare è già troppo impegnativo. Per essere visti bisogna essere promossi e molto spesso le case editrici speculano sulla cattiva qualità, sulla quantità, sulla politica dell’abbondanza, evitando di far crescere nel vivaio la giovane promessa.
Ma non importa: meglio quindi essere pubblicati, anche senza promozione, pur di assolvere alla funzione di guadagnarsi una memoria tra i posteri, materializzarsi in un libro materico col proprio nome e cognome.
Si è comunque eternizzati nella rete, su Google, su Amazon, su IBS, si può sempre credere che il proprio libro venda anche se non vende, si può presentarlo a una festa, ricevere i complimenti. Ci si accontenta di poco.
Ma il punto è un altro, in fondo. Siamo sicuri che ci piace leggere? Gi autori sono come monadi, non amano il confronto, non amano essere ritenuti scrittori in erba, soprattutto se di una certa età.
Pertanto il vicolo cieco in cui si finisce è scrivere per della gente che non legge oppure legge gli autori noti, istituzionali, pubblicizzati.
Basta aguzzare lo sguardo quando si è in metropolitana:
Paolo Coelho, Hermann Hesse, Sepulveda, Carofiglio, Baricco, Casati Modignani, Stephen King, Scurati, Saviano.
Dio che palle!!!!!
Ma non importa. Si scrive per piacere personale, no? Ebbene sì!
Io scrivo ad esempio quasi solo per piacere personale e per pochi eletti….però se ogni tanto mi scappa di vendere qualche copia sono contento. Al contempo cerco di comprare gli autori promettenti se i loro libri mi interessano.
Non leggo però in metro o nei luoghi affollati. Credo ancora nel potere della concentrazione, del raccoglimento, ove il potere dell’immaginazione può fertilizzare.
Infilare le pagine Flaiano (non Saviano) tra un messaggio e l’altro di whatsapp, lo trovo quasi blasfemo.
Riabituiamoci a differenziare la vita, a fare le cose una per volta, contro qualsiasi multi-tasking.
Sapessi com’è strano leggere a Milano! E a Torino?
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